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“Trilogia della città di K.”- Agota Kristof

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Due gemelli, una città di frontiera, l’incombere di una guerra. Come spesso succedeva, i genitori pensano bene di lasciarli in un posto che verrà difficilmente o il più tardi possibile raggiunto dalla morte e dalla devastazione: la casa della nonna materna, lontana dalla città e ancora ricca di cibo, perché la nonna è una contadina e potrà mantenere i bambini anche durante tempi difficili.

Questo è l’inizio della Trilogia della città di K. Per tutta la durata della prima del libro i due ragazzi non hanno nome, un accenno di storia personale, e sono diversi da tutto e tutti: intelligenti, più del normale, senza paura e coraggiosi, si adattano con una facilità indicibile all’indicibile mondo in cui sono catapultati, diventando per tutti un’entità unica e incomprensibile, capace di sfruttare al meglio ogni situazione. Non sono degli opportunisti, come si può erroneamente dedurre, o degli infami: i due gemelli si impongono un rigido allenamento di lavoro, sia fisico che emotivo, per non provare sentimenti, né gioia né dolori. Lo fanno in vari modi: si applicano in esercizi di resistenza al dolore fisico, picchiandosi a vicenda e lottando, restando immobili o digiuni per giorni,  e in esercizi di resistenza al dolore emotivo: si insultano, si ripetono le parole dolci che la madre usava per loro all’infinito, finché non hanno più alcun senso. Sviluppano facoltà che nessun altro ha: imparano le lingue, leggono, scrivono. Tutto su un “Grande Quaderno”,  in cui non si possono annotare sensazioni legate a ciò che accade, ma soltanto i fatti, nudi e crudi. Non sentire niente, non provare niente, fare solo ciò che è giusto fare: questo è quello che ripetono a chiunque, come la nonna, il parroco o il sergente, gli chieda perché si comportano in un certo modo. Cercano di raggiungere quella perfezione interiore che hanno anche all’esterno – tutti ne sono ammaliati, sono bellissimi – e con essa di proteggersi dalla durezza della vita che vivono.

Capitoli lunghi massimo tre pagine, parole tagliate in modo affilato e netto, raccontando quasi come se fosse una cronaca, lo stile di Ágota Kristóf riflette esattamente la filosofia di vita dei due gemelli.
Poi arriva La prova, seconda parte del libro, e le cose cambiano leggermente (ma non vi dico perché). Sappiate solo che i gemelli hanno quindici anni e che quella guerra che all’inizio sembrava lontana è ormai in piena deflagrazione. Lo stile della Kristóf si adatta, restando molto attaccato alla durezza della prima parte, e la storia continua.
Infine, parte terza, conclusiva: la terza menzogna. Il lettore ci arriva con una fame infinita, fame di sapere come andrà a finire, di capirci qualcosa, di scoprire la verità, ammesso che esista. Esiste, ma non è affatto come ve l’aspettavate. No, non c’è uno sciocco colpo di scena che risolve tutti i quesiti dei due libri precedenti, e non è neanche una mera spiegazione: è qualcos’altro.

Questo libro si evolve, proprio come fa una persona.

Non posso ridurre questo libro a “un libro sulla guerra” perché non parla solo di quello, nonostante la guerra sia lo sfondo e il contesto inscindibile della storia nonché qualcosa che ha sicuramente impressionato la Kristóf, che dall’Ungheria si è spostata in Svizzera per sfuggire alla rivolta contro l’invasione sovietica.
Qualcuno ha scritto che è un libro sulla miseria umana e forse sì, è così. Ciò di cui sono certa è che questo è proprio un Libro, che non puoi fare altro che leggere, tutto, probabilmente tutto d’un fiato, e rileggere ancora, e quando avrai finito di leggerlo continuerà ad ossessionarti e parlarti e interi brani e episodi del libro ti torneranno alla memoria, tormentandoti e estasiandoti allo stesso tempo, in una continua, infinita ri-lettura. Perché è questo che succede quando incontri un vero Libro: potresti continuare a rileggerlo all’infinito, trovando ogni volta un significato, diverso e uguale, alle parole che già conosci.

Ágota Kristóf ha impiegato quasi tutta la vita per scriverla tutta la storia di Claus e Lucas: prima ha scritto Il Grande Quaderno, pubblicandolo nel 1986, poi è venuto fuori La prova (1988) e infine, il capitolo finale, La terza menzogna (1991). Ciò che era presente nel primo libro ritorna nel secondo e nel terzo, la storia si costruisce, distrugge, cambia, evolve e modifica in un modo fluido, realistico e confuso: proprio come succede alla memoria e ai ricordi. Potrei dire che anche il disordine e il caos in questo libro sono lucidi e precisi, un po’ come la disperazione e i tentativi di lottare contro di essa che tutti operano a vario modo al suo interno.

Ultima considerazione. Aveva imparato il francese, la Kristóf, e l’aveva eletta come lingua della sua scrittura. Chissà se questo ha influenzato quel suo stile così rigido, chiuso, schematico. Chissà se l’ha imparato come facevano i due gemelli, semplicemente ascoltando gli stranieri, sforzandosi di capirli e di intuire gli schemi ripetitivi e le parole di lingue sconosciute, obbligandoli a parlare in lingua con loro, fino a che il segreto non si dipanava limpido davanti alla loro limpida intelligenza – metodo che può sembrare folle, ma che in realtà non dev’essere così lontano al come all’inizio si studiavano le lingue, confermando anche tutti quelli che ti dicono «Se vuoi imparare una lingua, vai in qual paese a viverci per un po’».

Queste sono domande stupide,  («farsi delle domande è ancora peggio che sapere tutto»), ma, come ho già scritto, questo libro parla e non smette di farlo quando lo chiudi. Sinceramente, non chiedo di meglio da un libro. 

Ágota Kristóf, Trilogia della città di K., Einaudi, € 12.50

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